moretta

venerdì 22 novembre 2013

I "mutandoni" della cortigiana



Questi mutandoni o calzoni femminili detti anche "braghesse" sono appartenuti quasi sicuramente ad una cortigiana vissuta nella seconda metà del 1500. Sappiamo infatti dalla documentazione dell'epoca che le prostitute erano solite portare quest'indumento intimo in bella vista con scarpe altissime dette "pianelle", raro è invece trovarli tra i corredi delle nobildonne anche se non mancano le eccezioni come si può vedere nell'inventario del corredo di Maria de Medici, la futura regina di Francia, dove se ne contano ben 32 paia.
Prodotti in Italia sono stati confezionati con tela di lino ricamata a punto scritto con filo di seta blu. Il ricamo disegna elementi geometrici che ad un certo punto si interrompono per formare dei cartigli entro i quali c'è scritto VOGLIO IL CORE. E' presente in alto un cinturino con un bottone in legno rivestito di oro filato mentre in basso si trova un nastro di seta color celeste che forma la bordura. Internamente i mutandoni sono foderati da una tela di cotone color avorio cucita a mano.


martedì 19 novembre 2013

Moda infantile tra Cinquecento e Seicento



La maggiore documentazione di cui disponiamo riguardo il modo di vestire dei bambini tra Cinquecento e Seicento riguarda ovviamente i rampolli delle classi agiate, degli aristocratici. Al tempo il bambino non era considerato come un essere con una sua precisa connotazione psicologica, un essere quindi in grado di pensare, esprimere una propria sensibilità ma come colui che doveva testimoniare lo status sociale della famiglia di appartenenza quindi l'abito non era fatto tenendo conto delle sue esigenze ma per mostrare la ricchezza e il potere. 
Appena nato il bambino veniva affidato alla balia per la prima pulizia con acqua poi aveva inizio la fasciatura di tutto il corpo poichè si credeva che tale operazione avrebbe preservato le membra da distorsioni e malformazioni.  Le fasce di solito erano di due tipi: una interna di tela leggera che fermava le braccia lungo il corpo e attorno a questa se ne avvolgeva un'altra più pesante. Per i primi mesi era questo l'unico vestito del neonato, in seguito si liberavano le braccia mentre la parte sottostante del corpo rimaneva ancora fasciata. Preziosissimi i tessuti, spesso ricamati con fili d'oro, soprattutto durante i battesimi poichè era la prima occasione pubblica nel quale veniva presentato l'erede della casata, a maggior ragione se era il primogenito maschio. 
A partire dalla seconda metà del Cinquecento comincia, sia per i maschi che per le femmine, l'uso dell'"ungherina", una veste intera completamente abbottonata sul davanti con bottoni o alamari in passamaneria, in genere senza maniche (sotto si faceva indossare al bambino camice con tessuti e a volte colori diversi) ma con alette alle spalle, stretta in vita da una cintura; la sottana era larga, a campana e lunga fino ai piedi. Essa veniva indossata a partire dal primo anno di vita e smessa dopo i 4 anni. Aveva la particolarità di presentare sul dietro due bande di tessuto (dette "dande") che servivano alla balia per sorreggere il bambino nei primi passi e che in seguito diventavano elementi di decoro.
Compiuti i 5 anni i bambini venivano vestiti come piccoli adulti e secondo la funzione che avrebbe avuto nel futuro: se per esempio il loro destino era quello di entrare in convento allora li si vestiva col saio o con l'abito monacale; se sarebbero diventati cavalieri di Malta sul loro abito fin da subito compariva la croce. Alle bambine venivano fatti indossare i busti confezionati con osso di balena e sopra un abito con la gonna tenuta rigida dalla "faldiglia. Perchè rappresentassero il loro rango non mancavano sulle sete  e i broccati le applicazioni di pizzi, merletti, bottoni in oro e pietre preziose, ricami e gioielli.

lunedì 11 novembre 2013

Un inglese e la sua staordinaria casa-museo



Figlio di un inglese e di una fiorentina, Federico Stibbert nacque nel 1838 e per buona parte della sua vita viaggiò per il mondo acquistando nei mercati internazionali i più svariati oggetti, ognuno di manifattura pregevole e di grande importanza artistica: quadri, sculture, mobili rinascimentali e del Settecento, oreficerie, maioliche, ventagli e orologi, vetri e reliquiari, pettini, carte geografiche, abiti antichi e parrucche, posate e arazzi, specchi e monete ma soprattutto armi occidentali ed esotiche, ottomane e giapponesi (quest'ultima è la più grande collezione al mondo fuori dal Giappone) risalenti al XVI e XVII secolo, oltre 50 mila pezzi che andarono a riempire le numerose sale della villa da lui acquistata e ingrandita sulla collina di Montughi a Firenze. Per la sua stupefacente collezione di armi e armature allestì la coreografica "Cavalcata" composta da cavalieri a cavallo che divenne l'attrazione dei fiorentini e dei visitatori di tutto il mondo e lo è tutt'ora. I calchi in gesso per i cavalli furono ricavati dalle carogne di animali morti. Stibbert riuscì ad acquistare anche l'abito e il manto che Napoleone indossò il giorno della sua incoronazione a re d'Italia. Tra i quadri si trovano tele di Botticelli, Luca Giordano e Pietro Lorenzetti.
La villa conserva ancora il suo parco ideato dal grande architetto Giuseppe Poggi (colui che ideò il Piazzale Michelangelo, la magnifica terrazza che permette di ammirare il panorama di Firenze) che lo animò con statue, piccole grotte, colonne e vialetti che fanno giungere il visitatore ad un laghetto popolato di ranocchie, anatre, pesci rossi e ninfee con al centro un tempietto egizio circondato da alberi. 










giovedì 7 novembre 2013

Il ventaglio



La storia del ventaglio è antichissima, da alcuni reperti la possiamo fare iniziare 3200 anni prima di Cristo ma il secolo aureo di questo oggetto fu sicuramente il Settecento. Era usato dalle dame dell'alta società ma a Venezia anche dal "cicisbeo", o "cavalier servente", il gentiluomo che di solito accompagnava la nobildonna sposata alle feste mondane o a teatro, oppure a fare spese, a far visita alle amiche e in chiesa. I fabbricanti di ventagli raggiungono grande maestria nell'assemblare la stoffa, spesso taffetà, dipinta con scene bucoliche, galanti e vedute archeologiche ispirate dai dipinti contemporanei oppure ricamata con motivi floreali e animali, ma anche il pizzo, pregiatissimo, la pelle lavorata in modo da diventare sottilissima tanto da essere chiamata "pelle di cigno" e la carta meno costosa. Di grande raffinatezza e preziosità erano le montature spesso in avorio intagliato, legno pregiato e in madreperla con pietre preziose. Le stecche scolpite erano a volte ricoperte con un sottile strato d'oro o argento. 
Oggetto utilizzato per allontanare il caldo e scacciare gli insetti divenne anche mezzo per sedurre e al ventaglio fu legato un linguaggio mimico, privo di parole ma fatto di gesti: sfiorarsi il viso col ventaglio oppure il seno, passarlo da una mano all'altra, chiuderlo di scatto o colpire la spalla dell'interlocutore potevano indicare gelosia, amore, gioia, agitazione, disappunto, rimprovero.
Considerati accessori preziosi, i ventagli venivano regalati in occasione delle nozze o per la nascita di un figlio, divennero anche mezzo per informare sugli avvenimenti storici, la Rivoluzione Francese, per esempio fu raccontata in mille modi sui ventagli.



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lunedì 4 novembre 2013

Il prezioso scrigno del Buontalenti



All'interno della Galleria degli Uffizi a Firenze si trova una splendida stanza a pianta ottagonale chiamata la Tribuna. Fu Francesco I de Medici, il principe alchimista, a volerla per raccogliervi le opere d'arte greco-romane salvate dal saccheggio quando la famiglia, alla fine del Quattrocento, era stata bandita dalla città. La sala fu progettata da Bernardo Buontalenti e con essa il destino degli Uffizi, nati inizialmente per essere sede dei vari uffici burocratici dello Stato granducale, fu segnata divenendo uno dei maggiori musei del mondo, custode di capolavori che l'Unesco ha riconosciuto quali patrimonio dell'umanità. Gli Uffizi nascono dunque dalla Tribuna realizzata nel 1584. Assecondando gli interessi scientifici e naturalistici di Francesco I, Buontalenti concepì la sala come emanazione del cosmo, del mondo naturale e dei suoi quattro elementi: la lanterna collocata sulla cupola dalla quale filtra la luce simboleggia l'ARIA; le seimila conchiglie provenienti dall'Oceano Indiano che rivestono la cupola e le scaglie di madreperla che compongono le decorazioni sottostanti su fondo azzurro, l'ACQUA; le pareti rivestite in velluto rosso, il FUOCO; le pietre dure e i marmi che compongono le tarsie del pavimento, la TERRA. Al centro della sala oggi troneggia un tavolo del 1600 il cui piano è composto da un mosaico in pietre dure e pietre preziose oltre alcune delle straordinarie opere classiche e rinascimentali conservate nella Galleria e tra queste la Venere medicea in marmo di epoca ellenistica databile alla fine del I secolo a.C.




sabato 2 novembre 2013

La vera storia della spada nella roccia



Narra la leggenda che nel 1148 nacque a Chiusdino, in provincia di Siena, Galgano Guidotti, di nobili natali. Passò l'infanzia e l'adolescenza nel castello di famiglia vivendo spensierato i suoi giovani anni tra tornei, danze e battute di caccia. Sembrava non avere pensieri, moralità, sentimenti, era un ragazzone dedito al gioco, alla violenza gratuita, arrogante, libertino e scansafatiche e quando il padre morì non versò una lacrima. Un giorno di primavera mentre stava cavalcando Galgano ebbe la visione di un angelo dalle grandi ali d'oro e una spada nella mano avvolto in un'intensa luce. Spaventato il cavallo si impennò e disarcionò il giovane. Come per San Paolo folgorato dalla visione di Cristo sulla strada per Damasco,dopo questo episodio la vita di Galgano cambiò radicalmente. Disgustato da quello che era stato decise di isolarsi dal mondo diventando un eremita solo dedito al sacrificio, alla penitenza e alla preghiera e come segno di rinuncia ad ogni forma di violenza scagliò la sua spada lontano; questa si conficcò in una roccia che affiorava dal terreno e lì ancora si trova da nove secoli con l'impugnatura a vista che rimanda alla croce. Morì il 30 novembre 1181 in santità. Pochi anni dopo la sua morte, nel luogo che Galgano aveva scelto per vivere ritirato dal mondo, fu costruita una chiesetta nota come la Rotonda perchè a pianta circolare e qui è conservata la spada del santo infissa nella roccia. L'arma è stata oggetto di studi approfonditi nel 2001 utilizzando le più moderne tecnologie e che ne hanno attestato l'autenticità: il metallo risale all'epoca medievale e la spada è del tipo X.a della classificazione universalmente accettata redatta dal massimo esperto di armi medievali Ewart Oakeshott.
Nel 1218 iniziarono i lavori per erigere un monastero sotto la guida dei monaci Cistercensi e la grande abbazia dedicata a San Galgano divenne la più potente della Toscana. Della splendida architettura gotica oggi rimane solo lo scheletro ma basta per emozionare e stupire quanti vengono a visitarla, immersa in un territorio ricco di leggende e di straordinari tesori paesaggistici e artistici.




venerdì 1 novembre 2013

La bambina e la scimmietta




Nata a Mantova Eleonora era una bella bambina dai riccioli biondi, ultima dei sei figli di Vincenzo Gonzaga ed Eleonora de Medici. In questo ritratto eseguito da Frans Pourbus il Giovane nei primissimi anni del 1600, la bambina ha circa 5 anni ed è raffigurata con un ricco abito ricamato, ha sul capo una splendida acconciatura realizzata con una serie di fiori di stoffa e perle; da essa fuoriesce un "pennino", un ornamento di gran moda all'epoca simile ad un rametto in oro quasi sempre arricchito con perle ma a volte anche da pietre preziose. Al collo Eleonora porta due giri di perle. La presenza massiccia di tali gemme rimanda all'antica credenza che esse fossero simbolo di innocenza e verginità quindi particolarmente adatte alle fanciulle e alle spose. Sulla manica sinistra della veste è presente un singolare pendente in oro a forma di scimmia smaltata di bianco e impreziosita da gemme e perle. Questi erano gioielli che riproducevano spesso animali o personaggi fantastici come sirene e tritoni che utilizzavano le perle "scaramazze" o "barocche", perle di forma irregolare, non tonde quindi e di dimensioni maggiori rispetto alle normali perle. Ci sono rimasti diversi esempi di questi monili che fanno ben vedere l'abilità raggiunta dagli orafi del Cinquecento nello sfruttare la forma irregolare della materia.